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La scuola è finita! (ma come Freddy Krueger attendete desti il suo ritorno...)


Per tutti gli ambosessi dai 6 ai 18/19 anni (più in là arrendetevi e prendete malta e cazzuola, la ditta cemento & mattoni ha bisogno di voi), questa prima settimana ha coinciso con il periodo più bello dell’anno: non è il Natale (quello è il più triste), nemmeno la vacanza selvaggia ad Ibiza (aspettate la maturità, perdio!), neanche il lasso di tempo che avete impiegato per registrare e caricare il vostro primo video su youtube (tranquilli, nessuno lo cagherà nonostante i vostri immani sforzi).


Sto parlando della fine della scuola.


Squillano le campanelle dell’ultima ora e l’anima leggera si libra in aria firmando un armistizio con il mondo: d’ora in avanti e per almeno un paio di mesi il giorno non farà più schifo, i compagni non saranno più merde, persino se incontrerete i prof in mezzo al corso vi verrà spontaneo un sorriso, quasi (ma quasi!) nostalgico.

L’unico luogo in cui sarà consentito lo sforzo fisico e cerebrale sarà la camera da letto nel momento dell’alzata; per il resto qualsiasi altro tentativo di attività verrà respinta a colpi di gelato, televisione e internet.

Vostro padre vi rimprovererà del fatto che non farete niente, voi dite pure di sì, e che intendete farlo pure il più a lungo possibile.

Non cedete alle suppliche di vostra madre; inizialmente vi si presenterà con un semplice panno da mensoletta, ma se acconsentirete ad aiutarla preparatevi a vestire i panni della massaia per tutta l’estate: il mocho sarà il vostro migliore amico e userete il cif al posto della lacca per i capelli.


Non temerete la siccità o il bordello notturno né l’afa incessante d’agosto. Per voi l’estate sarà un unicuum esclusivo, fiorellino di campo sbocciato solo per voi studenti mentre il resto del volgo bestemmierà, in ordine puramente casuale, la siccità, il bordello notturno o l’afa incessante di agosto.


Godetevi la libertà del refolo di vento, la brezza marina che solletica i vostri primi umidi amori, assaporate il gusto della notte che non finisce mai, ascoltate pure quello schifo di tormentone estivo che vi propinano ma approfittate del tempo libero per cercare di capire cosa piace veramente a voi. Siate insonni e felici, piangete per un cuore infranto, storditevi di risate fino a quando i vicini non batteranno il pugno contro i muri o di vostro il capo, nel caso peggiore.


Insomma fate quel che vi pare, ma fatelo in fretta.

La vita non vi aspetta ma soprattutto settembre è già dietro l’angolo.


Ora, detta così sembra che la scuola sia un carcere in scala 1 a 10 di Alcatraz, modello Classe 1999 (mai visto? Male. Guardatevi il trailer e cercate la versione con il vecchio doppiaggio; la nuova versione è merdosa e Angel ha la voce di un trans).


E benché in casi isolati sia così, checché ne voglia dire la buona scuola, quando poi questa si esaurisce nel suo compito educativo, lasciando che i maturandi vadano al mondo come novelli Ulissi in cerca di Itache, si ha quella sensazione un po’ amara di fine del mondo. Perché comunque la scuola è stato quel luogo in cui ci siamo formati, a volte bene a volte male, preparandoci ad interagire con il mondo civilizzato. Non è questione di mera educazione, quella spetta principalmente alla famiglia, ma di vera e propria fabbricazione di una coscienza individuale e collettiva. A scuola imparo a cozzare con chi non la pensa come me, ad affrontare i cagacazzo, a socializzare con quelli che vengono con i barconi, che per me non sono tanto gli extracomunitari ma quelli con cui condivido la canna dietro l’angolo. Imparo ad essere cittadino, insomma.


Ecco perché quando poi la scuola termina, nel senso che basta, l’anno dopo o lavoro o vado all’università, ci si sente un po’ spaesati e fuori contesto: siamo sicuri che abbiamo imparato abbastanza? E che si sarà in grado di affrontare il mondo?

Un po’ quello che cantavano i Matrioska con Ma che velocità (qualità scadente ma pazienza).

Non stupisce poi che uno scrittore e un giornalista importante come Errico Buonanno ne abbia fatto un vero e proprio sceneggiato, filmando il suo ultimo anno di scuola e montandolo in età adulta, regalandoci uno spaccato di vita in video che, per anni in cui spadroneggiava ancora il Pentium II era una cosa da fantascienza, altro che gli youtuber di ora.


Di libri che parlano poi di scuola ne è gonfio l’universo. Se si facesse l’elenco si brucerebbe l’estate in un soffio, per cui mi limiterò ad alcuni titoli, quelli che in qualche modo mi hanno colpito di più lasciando tracce indelebili nel mio animo di lettore.

Cuore di De Amicis chi lo ha detto? Scontatissimo, ma questo libro è una bomba modernissima che darei in lettura obbligatoria a tutti i fasci leghisti revisionisti scemisti del nuovo millennio. Edmondo De Amicis racconta la storia di una classe terza nell’anno scolastico 1881-1882. Il periodo è quello appena successivo all’unità d’Italia, ma tantissimi sono i fermenti in atto che accomunano le genti di una giovanissima nazione, ancora tutta tesa nel riconoscersi come tale. Eppure vi è una nobiltà d’animo e un rispetto reciproco fra il genitore contadino e quello borghese che oggi non ha pari. Un riconoscimento per l’istituzione scolastica che ad ora è ai minimi storici. Aule zuppe di alunni di varia età, il maestro Perboni, l’anarchico Franti, il gigante buono Garrone, la scuola come unico luogo di riscatto sociale per i meno abbienti. Un viaggio nel cuore (non a caso) di ciò che un tempo era l’unica risorsa possibile per tutti e che oggi è invece l’unico piatto in cui si è mangiato e su cui possono sputare tutti.



Diaro di Scuola di Daniel Pennac è il libro che invece cerca idealmente di comunicare alla classe insegnante come assolvere al meglio il proprio difficilissimo compito. Lo fa attraverso i ricordi e le esperienze del grande scrittore francese, professore a sua volta, che da ex allievo scapestrato e soggetto a evidente disturbi di dislessia, riferisce di terribili metodi educativi, insormontabili ostacoli didattici, ma alla fine la nascita di una grande e bruciante passione per le lettere proprio per mezzo di quegli irriducibili insegnanti che non si sono arresi di fronte all’insuccesso del futuro scrittore più letto di tutta la Francia. Sono proprio quei capitani coraggiosi a ispirare Pennac e a spingerlo a sua volta a gettarsi nella fanghiglia melmosa della scuola pubblica. Insegnare in un liceo pubblico parigino non è la stessa cosa che farlo a Milano o a Roma; lo sa bene Pennac che racconta di delinquenti spinti a forza nella sua aula, di ex studenti scippatori che lo risparmiano solo riconoscendolo, di banlieu gonfie come ventri putridi di criminali in erba e futuribili ergastolani. A corollario di ciò, però, l’irrinunciabile missione dell’insegnante: quel lasciare il segno che è etimologicamente scritto nel DNA professionale di chi scegli di fare questo mestiere.



L’ultimo libro che mi vien in mente di citare è Skippy muore, che poi è quello che mi sta più a cuore. Vuoi perché la splendida casa editrice Isbn non esiste più o perché di Paul Murray non è uscito nient’altro, ma io di questo libro serbo ricordi che vanno dal riso più sfrenato fino al pianto più convulso. In questo libro c’è un universo in continua espansione che fatica a starci sulla normale pagina.

Si parte paradossalmente dalla morte del protagonista, quello Skippy che già dal titolo sappiamo che fine fa. Eppure per tutta la durata del voluminoso testo (quasi 1000 pagine) sei lì che cerchi di convincerti che invece una scappatoia narrativa ci sarà, che alla fine Murray ti cala un asso di switch che altro che Sliding doors. E invece niente, devi arrenderti anche tu, come fa Ruprecht, il miglior amico di Skippy, che lui è davvero morto. O forse no.

E la scuola? direte voi. La scuola è tutta lì, attorno a loro.

Siamo a Dublino, nel college di Seabrook. Ruprecht e Skippy sono due amici legati dalla comune goffaggine: il primo però è un genio destinato a essere il bersaglio facile dei bulli della scuola, il secondo invece attraversa un rapporto conflittuale con la vita per motivi che vi invito a scoprire da soli. Nello scorrere au rebours del romanzo spuntano come funghi i personaggi che coabitano l’ambiente narrativo di Skippy e Ruprecht: Geoff, Mario, il professor Howard, Lola, di cui Skippy è perdutamente innamorato e tanti altri piccoli e grandi comprimari che schizzano come meteore nell’adolescenza sempre troppo veloce dei protagonisti. Ovviamente la morte del giovane ragazzo sconvolge la tranquilla vita di Seabrook e negli interstizi dello scorrere scolastico cambia qualcosa in tutti i personaggi, con il gran finale dove Ruprecht…vabbè, se volete sapere che fa Ruprecht leggetevelo da soli.


Insomma, la scuola è finita ma se proprio vi manca, tra film, libri e canzoni, di materiale compensativo ne trovate quanto ne volete. Però lasciatelo stare ai vecchi quarantenni nostalgici: voi giovani virgulti spegnete la webcam e uscite a perder tempo. Dopo lo studio è la cosa che vi servirà di più una volta diventati grandi.



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