La mamma è sempre la mamma?
Con la festa della mamma ormai trascorsa è finalmente più facile poterne parlare male, rivelando le brutture di una figura aprioristicamente incasellata in stereotipi da Mulino Bianco che tanti selfie fino a ieri omaggiavano sulle vostre bacheche, non dite di no.
Però lasciatemi dire una cosa.
Le mamme non sono tutte buone.
Le mamme sanno essere bastarde e malvagie.
Ci sono mamme che somigliano più a Baphomet che a quell’idea di Biancaneve alla quale ci hanno abituato con dosi massicce di proiezioni Disney. Fanculo alla mamma di Bambi, a Bum Bum che cerca la sua mamma, alla mamma di Mila e Shiro, alla mamma di Kevin di “Mamma ho perso l’aereo”.
Nei classici contemporanei della narrativa di esempi di madre degenere ce ne sono a bizzeffe. Ci ho pensato un po’ su e, giusto per festeggiare a modo mio, ho deciso di riproporre quelle figure materne che qualche perplessità rispetto a sanità mentale e senso del giudizio te lo fanno venire.
IRENE REILLY
Irene Reilly, madre di Ignatius Reilly, protagonista del funambolico romanzo d’esordio di John Kennedy Toole, edito per Marcos y Marcors e intitolato “Una banda di idioti”.
Di per sé è forse un personaggio apparentemente normale, quantomeno rispetto alla figura del figlio che, disoccupato cronico e appassionato di filosofia scolastica, rigetta qualsiasi tipo di occupazione perché non adatta al suo livello di istruzione. Bivaccando a casa della madre, da cui si fa mantenere accampando le più disparate accuse, Ignatius trova in lei un’alleata fino a quando, rinsavendo o impazzendo del tutto, fate voi, lei non decide di internare il figlio in un ospedale psichiatrico. In realtà ha solo voglia di godersi il suo pessimo vino e la rendita di un ricco pensionato a cui decide di darsi in moglie. Una mamma, insomma, che tutti vorrebbero avere.
L’aspetto biografico di questo romanzo, una vera chicca da riscoprire, aggiunge ancora altri picchi di inquietudine. John Kennedy Toole infatti non ha avuto una vita serena, suicidandosi a soli 32 anni senza veder mai pubblicato nessuno dei suoi testi. In molti hanno ipotizzato che fu proprio il rapporto conflittuale con la madre a spingerlo a un gesto così estremo, ma è solo un’ipotesi. C’è di vero tuttavia che fu proprio la madre a farsi carico del testo postumo del figlio, occupandosi in prima persona di far editare il manoscritto che trovò per puro caso nella camera del figlio, mentre stava pulendola.
La donna riuscì, non senza una certa fatica, a far pubblicare “Una banda di idioti”, che in capo a pochi mesi conobbe un successo senza alcun tipo di previsione.
La signora Thelma Kennedy Toole e la signora Reilly però sono ben poca cosa rispetto a …
MARGARET WHITE
Vabbè, qua siamo già nell’ambito della schizofrenia più totale. La folle e integralista mamma di Carrie, la disgraziata adolescente con poteri ESP super sviluppati, è il simbolo di un tradizionalismo tanto cieco quanto violento. Nel libro del 1974 di Stephen King, che, seppur datato, pone ancora oggi in risalto temi attuali come il bullismo e il degrado della provincia, si vive con un’angoscia pazzesca più che il tragico finale in cui Carrie massacra l’intera cittadina di Chamberlain, il rapporto che questa ha con sua madre. La signora White, che su pellicola è sì schizzata ma mai quanto nella versione cartacea, vede ovunque peccato e presenza demoniaca. Alla povera Carrie che vive con disagio il suo primo menarca riserva un trattamento tanto umiliante quanto incomprensibile. O meglio, comprensibile solo alla luce della follia che la fa sragionare come un cucù svalvolato. Non lasciatevi trarre in inganno dalla faciloneria con cui Carrie sembra scatenarsi solo in seguito al tiro bastardo dei soliti liceali rompicoglioni. Va bene, ti hanno scaricato addosso quintali di sangue di maiale, il tuo probabilissimo primo fidanzato ti muore per una banale secchiata al capo, la tua notte da sogno si è appena trasformata in un incubo…però se almeno avessi avuto a casa una mamma decente avresti saputo da chi correre a sbrodolare fiumate di comprensibili lacrime. E invece la signora White è lì che l’aspetta sull’uscio per sacrificarla a Dio in quanto la crede posseduta direttamente da Satana. Non c’è che dire, un modello esemplare di figura educativa! Nella pur notevole versione cinematografica di Brian De Palma sono moltissime le differenze dal libro, per cui consiglio a tutti, proprio per gustarsi le innumerevoli sfaccettature del romanzo di King, di fare uno sforzo in più per recuperare questo grande classico dell’horror.
Uno pensa che dopo Margaret White non ci possa essere più niente di peggio e invece…
…invece c’è.
EUGENIA DONATI
Dal nome non dirà assolutamente nulla, eppure il suo personaggio nasce dalla penna di uno degli scrittori più apprezzati non solo in terra nostrana ma anche all’estero. Sto parlando dell’immenso Niccolò Ammaniti che, ben lungi dall’ammansirsi come poi farà con alcuni suoi romanzi, scrive con Branchie una trama fitta di assurdità grottesche e surreali che fanno di questo libercolo - a parer mio - uno dei lavori più originali e interessanti del panorama contemporaneo italiano. Uscito in piena epoca “Cannibale”, “Branchie” racconta le vicende di Marco Donati, un ragazzo romano malato terminale di cancro ai polmoni con una passione smodata per gli acquari, che tra l’altro vende nel suo negozio. Senza starvi a raccontare come si svolge l’intera storia vi basti sapere che a un certo punto Marco viene reclutato con l’inganno in India a costruire un acquario per uno dei magnati più facoltosi della nazione, salvo poi scoprire di essere stato attirato lì direttamente dalla madre che, rifatta alla bell’e meglio di un Tetsuo post moderno, lo vuole obbligare a farsi un trapianto di polmoni per poter guarire dal suo male. Tutto ciò con la complicità di un folle chirurgo, di cui ovviamente la madre è anche amante, che opera, sminuzza e asporta direttamente dalla materia prima: nidiate di bambini e ragazzi indiani orribilmente tenuti prigionieri in caverne sotterranee. La narrazione è condita da improbabili band underground, ninfomani e arancioni ninja, cibo locale a gò-gò e tanto, tantissimo delirio. Spicca su tutti la figura tragicomica di Eugenia Donati, mostro privo di anima e zuppo di un edonismo molto italiano che cancella con un colpo di spugna tutte le stereotipate rivisitazioni dei classici rapporti madre-figlio.
Anche per Branchie, come per Carrie, c’è stata una trasposizione cinematografica. Mentre però per il libro di Stephen King abbiamo avuto Brian De Palma e Sissy Spacek, per Niccolò Ammaniti si sono scomodati Francesco Raniero Martinotti e, udite-udite, Gianluca Grignani. Io c’ero anche alla proiezione in anteprima all’Ambasciatori, cinema defunto di Milano. Eravamo in cinque: io, l’omino dei popcorn e tre accanite fan del cantante. Maremma troia che cagata di film. Non ci credete? E allora beccatevi sta cazzo di scena. Vi auguro di sopravvivere agli atroci dialoghi, nonostante tutto.
Ma poi sì, la mamma è pur sempre la mamma e, nonostante gli atroci esempi qui sopra riportati, sono d’accordo con il ricordo che Bansky decide di lasciare sui muri ad omaggio di questa immensa, poetica e travagliata figura. Tanti auguri, mamma!